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Fedra Diritto all’Amore

17 e 18 novembre – SALA MERCATO
FEDRA DIRITTO ALL’AMORE

Ripresa -Testo originale di Eva Cantarella
Con Galatea Ranzi
Regia e immagini Consuelo Barilari
Consulenza drammaturgia ai testi greci Marco Avogadro
Musiche Andrea Nicolini
Voce registrata Marco Avogadro
Luci Liliana Iadeluca / Editor video ed immagini Angela Di Tomaso
Creazione oggetti di scena Paola Ratto / Sarta Umberta Burroni
La canzone finale è di Carmen Consoli

Produzione Schegge di Mediterraneo – Festival dell’Eccellenza al Femminile

FEDRA DIRITTO ALL’AMORE è uno spettacolo multimediale nato da un lungo lavoro di ricerca sui nuovi linguaggi teatrali. Il testo propone un’attualizzazione del mito ed è il frutto della ricerca sulla figura di Fedra da parte di una delle più importanti studiose del mondo greco romano: Eva Cantarella.
Lo spettacolo non è un monologo in senso classico. Video, sonoro e luci portano in scena in una scatola multimediale parti e personaggi della vicenda, in continua interazione con l’attrice, sviluppando il racconto su diversi piani di narrazione. Galatea Ranzi è l’interprete di Fedra, “la luminosa”: consapevole ma tormentata, ribelle e pronta a sfidare la condanna morale della famiglia e della società per la ricerca della libertà. Non c’è predestinazione divina né maledizione in questa nuova Fedra: passione e intelligenza la portano al cambiamento. Bellissima e misteriosa, amata e rispettata, Fedra con la morte rivendica la libertà di amare e diventa simbolo dei diritti e della libertà delle donne.

Fedra: Il Mito
Ppurtroppo, le conoscenze che possediamo non ci consentono di stabilire con precisione come e quando le figure del Mito furono ‘declassate’ dal rango di divinità a quello di eroine, conservando solo labili tracce della loro originaria natura. Possiamo unicamente prendere atto che il processo di antropomorfizzazione caratteristico della cultura ellenica venne talvolta portato alle sue estreme conseguenze, non limitandosi solo a immaginare dèi fatti a immagine e somiglianza degli uomini, ma trasformando addirittura in esseri mortali alcuni di essi. In certi casi il culto eroico celebrò la passione e la morte di questi personaggi fino a divinizzarli: così avvenne ad Arianna, mutata in costellazione dopo l’unione con Dioniso, sorella di Fedra, la protagonista della saga cretese che aveva il suo fulcro nel bestiale accoppiamento di Pasifae col toro e nella nascita del Minotauro, destinato a perpetuarsi nella rovinosa lussuria delle sue due figlie. La prima, Arianna, aiuta Teseo, l’eroe straniero di cui si è perdutamente innamorata, a uccidere il suo mostruoso fratellastro e a uscire indenne dalle inestricabili tortuosità del Labirinto; ma poi ne viene ricambiata con l’abbandono in un’isola deserta e, secondo un’inquietante versione del mito, si impicca per la vergogna e la disperazione. La seconda, Fedra, nel Mito si fa strumento inconsapevole della maledizione lanciata dalla sorella contro l’amante fedifrago: divenuta a sua volta sposa di Teseo, concepisce una passione inconfessabile per il figliastro Ippolito e, alla rivelazione del proprio segreto, si suicida come Arianna, ma trascina nella sua distruzione anche il giovane amato, inducendo lo stesso Teseo a provocarne la morte. Questo è il Mito della Fedra ‘umana’, reso immortale da tanti poeti antichi e moderni che lo hanno rivisitato, arricchendolo ognuno di diverse sfumature e facendo della principessa cretese una delle figure chiave del teatro europeo. Eppure i tratti dell’antica divinità, resi sbiaditi dal processo di umanizzazione, si intravedono nel dramma che ha per protagonista la sventurata matrigna di Ippolito; ma solo in tempi a noi molto vicini, con la nascita dell’antropologia e della psicanalisi, il dramma di Fedra è stato riproposto in base a chiavi di lettura diverse da quelle tradizionali, In principio fu Fedra, «la luminosa», uno dei tanti nomi dietro cui si cela «la Dea Bianca», la stessa antichissima figura divina dietro i nomi di sua madre Pasifae, «colei che a tutti appare», e di sua sorella Arianna, «la purissima», ma prima ancora in quello di Europa, «dall’ampio volto», che era stata rapita da Zeus in sembianza di toro e che dal dio aveva generato Minosse, padre delle due principesse cretesi: tutti nomi che rivelano il luminoso astro della notte, adorato come divinità femminile celeste. «Questi nomi ci parlano di un volto largo, purissimo, splendente, che rischiara da lontano, che rischiara tutti, come la luna…».

Lo spettacolo: la trama
Fedra è la moglie in seconde nozze di Teseo, reggente di Atene, che, in prime nozze, ha avuto un figlio, Ippolito. Il giovane, che vive lontano dalla famiglia, quando ritorna a casa richiamato dal padre, incontra per la prima volta la matrigna, scatenando in lei una violenta passione. L’amore per Ippolito, bellissimo, giovane e “selvaggio” nella sua caparbietà e passione per la vita, travolge Fedra fino al suicidio e porta il giovane alla morte. […] figure solo a metà conosciute, per metà sempre straniere, significati afferrati solo un istante, e presto svaniti […]. Ma in chi legge risuona d’un tratto un tempo diverso, un timbro cultuale e religioso, attraverso cui affiora la memoria di un simbolismo già antico quando venne raccolto dal poeta tragico.

Il personaggio: Fedra “la luminosa”
Galatea Ranzi è l’interprete di Fedra “la luminosa” (questo è il significato del nome). La nuova Fedra, consapevole anche se tormentata, ribelle e determinata nella trasgressione, pronta a sfidare nella ricerca della libertà la condanna morale della famiglia e della società, capace di rompere gli schemi e l’ordine della cultura patriarcale antica. Non c’è predestinazione divina né maledizione genetica in questa nuova Fedra: passione e intelligenza la spingono a trasgredire. Il cambiamento è l’esigenza a cui lei risponde con il proprio istinto: bellissima e misteriosa, amata e rispettata, Fedra muore suicidandosi con il veleno, e in questo modo rivendica la libertà di amare e diventa paladina dei diritti e della libertà delle donne.

Un progetto di messa in scena che si ispira a un grande film
La scrittura qui si fonde con una messa in scena moderna e multimediale che fa riferimento visivo all’atmosfera “noir” del cinema di A. Hitchcock. Qui l’eroina di Euripide è posta in una “altra” dimensione che si ispira al glamour degli anni sessanta. La messa in scena gioca drammaturgicamente sull’impatto e il coinvolgimento emotivo attraverso la costruzione del processo d’identificazione dello spettatore, con l’uso delle proiezioni video e cinematografiche che inducono i meccanismi della suspense, esaltando la forza drammatica e misteriosa della vicenda umana di Fedra. Lo spettacolo si ispira agli scenari del film Phaedra che Jules Dassin, negli anni ’50 assistente alla regia dello stesso Hitchcock, girò nel 1961 con l’attrice Melina Mercuri, e Anthony Perkins nel ruolo di Ippolito. Lo spettacolo rompe lo schema temporale della storia che tutti conosciamo; la scena si apre quando il fatto è già avvenuto proprio con l’elaborazione di una sequenza cinematografica presa dal film di Dassin: l’incidente di macchina in cui Ippolito muore scomparendo tra i flutti del mare.

Suggestioni dal film
“Fedra rivive un tormentato flash-back di tutta la vicenda, prigioniera di uno spazio scenico delimitato da due grandi tulle, una “quarta parete” e un fondale; la scena è costruita da immagini filmiche, video scenografie, in sovrapposizioni 3D visive e sonore con effetti multimediali nella recitazione. Fedra si muove quasi fosse di fronte a un terzo occhio, una immaginaria telecamera fissa che la spia costantemente nel profondo delle emozioni. Intorno a lei le ombre. I fantasmi dei personaggi del dramma: la nutrice, Ippolito Teseo, il Minotauro, Arianna, Pasifae, diventano frammenti del suo corpo, della sua voce, che si moltiplicano in continuo scambio tra Mito, contemporaneità e altro reale. La tecnica delle proiezioni e del multimediale supporta il testo classico con un nuovo livello drammaturgico, in un carosello di linguaggi che si intrecciano e compenetrano con l’attore e la parola. La Nuova Fedra nasce dal cambiamento, ovvero dalle ceneri della Fedra prigioniera della classicità, la Nuova Fedra nella trasfigurazione della morte diventa simbolo della libertà e del Diritto universale all’amore Il risultato è un’operazione molto attuale. Nel tentativo di cogliere una moderna verità dall’eroina tragica di Euripide, si raccolgono i retaggi della più moderna visione poetica della classicità”. (Consuelo Barilari)

Il testo
Eva Cantarella, tra le più grandi studiose contemporanee della classicità, grecista da sempre attenta al femminile, docente di Diritto Greco e Romano, ci restituisce una versione drammaturgica moderna, che intende comunicare al pubblico l’importanza dell’influenza delle eroine classiche nell’immaginario collettivo anche contemporaneo. “Ripensare alle idee dei Greci aiuta a ragionare sul peso e sugli aspetti della loro eredità nella cultura contemporanea”. Eva Cantarella sostiene che “la nascita della discriminazione di genere sia da ricercare nell’antica Grecia insieme alla democrazia, al teatro, all’arte e che all’età classica sia dovuta la nascita della differenza sessuale, fondata soprattutto sul Mito come differenza non soltanto naturale, ma accompagnata a caratteristiche sociali, culturali.” Questa nuova, moderna Fedra scritta appositamente da Eva Cantarella, avvalendosi di diverse interpretazioni mutuate da Euripide, dall’opera di D’Annunzio, da Seneca, da Racine, apre ad un’interessante riflessione sulla vita e sulla condizione delle donne dai tempi dell’antica Grecia ai nostri giorni e mette in luce l’importante funzione sociale del Teatro inteso come strumento anche di creazione giuridica, oltre che poetica in materia di Diritti. Il testo nasce da un lavoro preliminare sperimentato dall’autrice in letture a più voci, sulle due tragedie di Euripide Ippolito Velato e Ippolito Incoronato. Il personaggio di Fedra che appare in “Ippolito Incoronato” è messo a confronto con quello che appare nell’altra tragedia, anch’essa di Euripide di cui rimangono pochi frammenti superstiti. Questa tragedia è andata in scena alcuni anni prima. La figura di Fedra nel primo scritto appare molto diversa da quella che nel secondo tragicamente si suicida travolta all’amore incestuoso, e non corrisposto, per il figliastro Ippolito. Qui troviamo una Fedra volubile ma conscia del suo sé, forte e combattiva. Tuttora ci si interroga sul perché Euripide abbia sentito il bisogno, pochi anni dopo averlo rappresentato, di tornare sul personaggio di Fedra.

Date e orari spettacoli
Sala Mercato – Teatro Nazionale Genova
mercoledì 17 novembre ore 20:30
giovedì 18 novembre ore 19:30

Biglietti su https://biglietti.teatronazionalegenova.it/
Intero 16 € – Ridotto Under 30 11 €

Galatea Ranzi è apprezzata attrice teatrale, cinematografica e di fiction televisiva. Nel 1988 vince il Premio Ubu come migliore attrice giovane, e nello stesso anno riceve una menzione speciale per il Premio Eleonora Duse. Nel 2012 per l’interpretazione di “Mistero doloroso” tratto da un’opera di Anna Maria Ortese le viene assegnato il Premio Eleonora Duse. Molti sono gli spettacoli che Galatea interpreta da protagonista con la regia di Luca Ronconi, tra cui ricordiamo “Re Lear” di Shakespeare, “Il sogno” di Strindberg, “Lolita” di Nabokov, “Quel che sapeva Maisie” di James, “Le baccanti” di Euripide, “Prometeo incatenato” di Eschilo. È attrice nei film “Caterina va in città” di Virzì, “Il pranzo della domenica” di Vanzina, “La vita che vorrei” di Piccioni, “Tre metri sopra il cielo” di Lucini, “La grande bellezza” di Sorrentino, vincitore del Premio Oscar.

Eva Cantarella, tra le più grandi studiose contemporanee della classicità, grecista da sempre attenta al femminile, docente di Diritto Greco e Romano, ci restituisce una versione drammaturgica moderna, che intende comunicare al pubblico l’importanza dell’influenza delle eroine classiche nell’immaginario collettivo anche contemporaneo. “Ripensare alle idee dei Greci aiuta a ragionare sul peso e sugli aspetti della loro eredità nella cultura contemporanea”. Eva Cantarella sostiene che “la nascita della discriminazione di genere sia da ricercare nell’antica Grecia insieme alla democrazia, al teatro, all’arte e che all’età classica sia dovuta la nascita della differenza sessuale, fondata soprattutto sul Mito come differenza non soltanto naturale, ma accompagnata a caratteristiche sociali, culturali.” Questa nuova, moderna Fedra scritta appositamente da Eva Cantarella, avvalendosi di diverse interpretazioni mutuate da Euripide, dall’opera di D’Annunzio, da Seneca, da Racine, apre ad un’interessante riflessione sulla vita e sulla condizione delle donne dai tempi dell’antica Grecia ai nostri giorni e mette in luce l’importante funzione sociale del Teatro inteso come strumento anche di creazione giuridica, oltre che poetica in materia di Diritti. Il testo nasce da un lavoro preliminare sperimentato dall’autrice in letture a più voci, sulle due tragedie di Euripide Ippolito Velato e Ippolito Incoronato.

Consuelo Barilari regista, è ideatrice e Direttrice del Festival dell’Eccellenza al Femminile che ha avuto il riconoscimento di tre Medaglie del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Patrocinio dell’Unesco peri Beni Immateriali. Si occupa dal 2003 di creazione e regia di spettacoli teatrali prevalentemente da opere di nuova drammaturgia italiana, attenta ai temi del Mediterraneo e del “femminile”. Dal 2006 è regista di svariati spettacoli tra cui di “I Templari. Ultimo atto” con Paolo Graziosi e Sergio Romano, anche film per RAI 2; “Matilde di Canossa” con M. Kustermann e R. Alinghieri; “Le Crociate viste dagli Arabi” con Elia Shilton e una compagnia internazionale composta da 22 interpreti, con cui vince il progetto Europeo Schegge di Mediterraneo; “Federico. Notte di presagi” con P. Bonacelli; “Io Federico” con M. Venturiello; “Albert Camus e Jean Grenier. La fortuna di trovare un maestro” con F. Parenti e R. Alinghieri. “La Duchessa di Amalfi” di J. Webster con Mariangela D’Abbraccio; nel 2012 “Camille Claudel” di Dacia Maraini con Mariangela D’Abbraccio; “Fool I comici in Shakespeare” di Masolino D’Amico con il Globe Theatre di Roma. Lo Sguardo Di Orfeo 6 episodi teatrali tragicomici sul Mito di Orfeo, progetto con la regia di Marco Avogadro, Duccio Camerini, David Gallarello. Caro Eduardo, di Consuelo Barilari con Lina Sastri. (2016) Dante per voce femminile, con Moni Ovadia e Pamela Villoresi. Napule è n’ata storia (2017), di Pino Daniele ed Eduardo de Filippo, con Mariangela D’Abbraccio e Musica da Ripostiglio con debutto Teatro Quirino Roma. Matilde di Canossa, con Alessandra Fallucchi, Edoardo Siravo. Artemisia, Caterina, Ipazia… e le altre con Laura Curino. (2019/2020)

RASSEGNA STAMPA
GALATEA È TANTE BELLE FEDRA – RODOLFO DI GIAMMARCO REPUBBLICA 24 agosto 2014
“Fedra, diritto all’amore” Roma, Giardini Filarmonica
Il mistero di Galatea Ranzi, la sua grazia imperscrutabile, il suo animo seducente misto a razionalità, il suo autocontrollo “ronconiano” e la sua radiosa malia di donna raggiungono un’intensa nuova sintesi in una riscrittura d’una grecista, Eva Cantarella. Fedra _ diritto all’amore si rivela anche spettacolo di più meccanismi espressivi e più dimensioni sceniche grazie alla regista Consuelo Barilari, del coproduttore Festival dell’Eccellenza al Femminile. Tante sinergie, sconfinamenti, e graphic arts, ma l’attrice protagonista resta, per fascino ed energia mimetica, il focus della storia, del mito. Ha un suo perché, lo spezzone del film Phaedra di Jules Dassin col precipitare in mare dell’Aston Martin di Anthony Perkins alias figliastro amato Ippolito che in Euripide muore sul carro. Ha un glamour luttuoso da moglie di armatore ellenico l’affaccio con occhiali neri e griffe della Ranzi. E irrompono come pezzi di un’installazione i video in 3D, la dormeuse somigliante a un “poltrobabbo” di Savinio, la vasca in acciaio smaltato che ospita il suicidio di Fedra accasciata come Marat. Ma più le immagini producono luoghi che rielaborano le passioni di persone mature (Fedra) per soggetti giovani (Ippolito, figlio del marito Teseo), più la drammaturgia poetica – cui contribuisce Marco Avogadro – e più la lancinante bellezza ferita della Ranzi acquistano senso. È con sorrisi d’acciaio che lei difende un amore inaccettabile, è con gioia sottile che canta in greco, finché con perfidia e pena autodistruttiva chiude i conti col ragazzo e con sé. Vanta la classe del Padre pasoliniano di Affabulazione, un’indipendenza sessuale versus il comune pudore, una tenerezza dura. Doti d’attrice.

Fedra reclama l’amore al Parenti
di Francesca Motta – IL SOLE 24 ORE 10 novembre 2014
Batte forte il cuore dell’indomita “Fedra” che reclama il sacrosanto diritto d’amare. La sua condanna è incarnare la femmina degli archetipi; nella riscrittura della grecista Eva Cantarella diviene miticamente contemporanea, anteponendo a tutto la passione – motore senza tempo dell’esistenza – attraverso il corpo, la voce e lo spasimo di Galatea Ranzi. La racconta sul palco del Franco Parenti un’ammaliante sequenza di spezzoni fotografici e video che avvolgono, catturano, sovrastano, accompagnano, la lama scoppiettante delle parole non dette finalmente liberate a squarciagola, fiume in piena di ricordi e coscienza, un vortice di processi espressivi ed emozionali in continua evoluzione, grazie alla profonda mano registica di Consuelo Barilari.
L’incipit di questa performance esteticamente perfetta è folgorante con lo spezzone tratto dal film di Jules Dassin “Phedra” dove Ippolito muore in uno spettacolare incidente automobilistico ingoiato dai flutti marini. Ribaltata la sequenza euripidea la storia si dipana a ritroso, Fedra si reincarna per noi, valchiria bionda in occhiali neri, piena di fremiti e languori, in un’orgia emotiva misteriosamente spietata, con dolore, con rabbia, con orgoglio. Ma soprattutto con amore. Affondando impietosamente lo sguardo sul passato Galatea Ranzi, in una prova attoriale magnifica, con implacabile delicatezza e raffinata sensualità, impersona la forza tragica del nostro tempo. L’assemblaggio dei frammenti classici si incastra con le visioni e sonorità tecno, Fedra-Galatea sfodera la potente verità della sua scelta di non rassegnazione. Gli avvenimenti seguono il loro corso, lei si innamora perdutamente del giovane Ippolito, figlio del marito Teseo, la memoria scorre, ricuce trame di amplessi e ribellioni, la continuità tra passato e presente si srotola in un bianco letto boudoir dell’anima. I segreti inconfessabili, la trascinano a volersi liberare degli incubi, impulso vitale e attrazione per la morte convivono nello stesso momento. Trascina a forza e striscia voluttuosamente nella vasca da bagno con le tessere del mosaico della sua parabola amorosa conficcate nella pelle, affonda nell’oscurità del sentimento e della vendetta. Beve il veleno del ricordo e della provocazione estrema. Per amore, solo per amore.

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